sabato 30 giugno 2012

Pyramids!




All the Way Down


“And it grew both day and night,
Till it bore an apple bright.”
William Blake





What the hell I’m doing, he thought, as the engine slowed down to a quieter pace. A crammed silence filled his ears. His breath froze, an icy vapor of fear and pleasure filled his air. Instructor Doug opened the door. Panic! That’s what it is, then. He close his eyes, the wind whirling frantic at his face. The plane glided softly .
He checked his equipment twice. No matter what, he was not going to die on a day like today.
Why not? Said a voice on the bottom of his head. The freaking thought of being buried on the same day he met again his best friend Michael. Course instructor. Did you ever imagine?
“You’re not going to let me go, mate?” He said.
Mike smiled. “Did I ever try?”
He beamed.
“Mike!”
“Yes?”
“You’re really know how to do that?”
“I’m the best.”
“You joking? You couldn’t tie the lace of your knickers when you’re eleven!”
“Check-in. Check-out.” Instructor Doug said.
“But…”
“Stop it, kid! I’ve done it like thousand time!” Mike said. Then grabbed his leg and jumped away.
What the…!
One thousand, Two thousand, Three thousand, Four thousand. Arch.
He rose his eyes, a whisky sky surrounding his sight. A frosty wind on his face. Mike on his right. Doug on his left.
He would never get used to that. Never ever again! The world whirling around him, earth and sky as a your sweated gym suite in a thumbing dryer.
Both instructors grabbing his flanks. As a kid on his bike on the first summer’s day.





Mike had fixed his backpack and had stripped off the seal. He had patted his shoulder and had smiled promptly.
“Ready, mate?”
“Yep.”
“Small briefing.”
“Ok.”
“What if the pilot call ‘Brace! Brace!’?”
“Safety position, ready to leave the plane.”
“What if you deploy and there’s only the blue sky up there?”
“Malfunction. I release the primary and go for the back-up.”
“How will you do that?” Mike had said.
He had smiled. “I won’t. No malfunction, please, today.”
Mike had smiled back. “Ok. Let’s check the basic, now…”
“Mike…”
“Yes?”
He had turned his eyes away. “Remember when… well, you know. That’s stupid affair when we were kids… I mean, that’s childish thing with your old girlfriend…”
“It’s all water under the bridge, mate!” Mike had laughed,slapping his arm.
“Yep.” He had smiled. “How old were we? Eleven? Twelve?”
“Twelve.”
“Yep, twelve. We didn’t even know what to do with a girl, uh?”
“Yep!” Mike had said.
“Well.” He had replayed. “You told me… Stupid as we were… you told me: ‘I gonna kill you soon or later…’”
Both had chuckled. “How stupid and infantile we were, weren’t we?”
 “Yep.”
“Fighting so hard for such a worthless girl.”
“Yep!”
They had laughed again, unaffectedly, as it was just yesterday the last time they met.
“Fancy that!” He had said. “I completely removed her from my mind until today. Don’t even remember her name!”
“Kate.” Mike had said.
“Oh… well,” He had paused. “Yes. Kate… well… Mike?”
“Yes?”
“You’re not about to tamper my parachute today, won’t you?”
Mike had laughed. “What stupid of you? You never changed!”
He had laughed back. “You too, mate!”
“Well, go back to the briefing. What if…”
“Mike…” He had said. Suddenly, looking in Mike’s eyes. Straight.
“Yes?”
“What it feels like? I mean. For real. Not just this fake simulation.”
Mike had looked at him in his poker-face.
“At 12,000 feet you don’t want to look down.” Mike had said. “You ask yourself: ‘what the hell I’m doing’. And that’s the only thing that make sense. The whole universe it’s upside-down. North and South, Sky and earth. You swear on your head: it’s the last time. And try to make it clear: it it’s final. Period!
“At 10,000 you start to relax, feel the air on your face, look the sky melting with the earth. An horizon so curved you may think someone up there has shaped the world as a boiled egg. Which is what you’re going to be, in fact, if the canopy won’t open.
“Which is something that cross your head at 8,000.
“At 6,000 you start to consider the idea to deploy. Great idea. But what if it doesn’t?
“Well it’s 5,000 going to 4,000. You know you can’t think about it. Grab your handle, pull, arch, relax, enjoy the sight from above.”


Maybe.


Or maybe not.


He looked the altimeter. 3,000. Malfunction. Look, locate, pull-down, deploy. Nothing.
He turned his head, started to scramble, his limbs whisking the air. Trying to cream the clouds, honey?
What the… twothousands! Less, nineteenhundreds!
Jeezzz…
The ground closing up.
“Mike!” He shouted. “Mike!”
He looked above.
“Mike!” An orange canopy floating in the air. Safe and sound!
Where’s mine! He claimed.
Altimeter. Check! Uselessly. ONETHOUSAND!
Less.
Going down.
Fast.
Hopeless.
Bang!
Period.

mercoledì 27 giugno 2012

TH2


modern art

The Duck Side of the Moon



La prima avventura dei Treasure Hunters si può scaricare gratuitamente da qui.


  UN SEGRETO NEL LAGO


Dove porta il passaggio segreto che Simon ha scoperto nella vecchia rimessa delle barche? Chi e’ la nuova ragazzina arrivata da poco nella casa abbandonata? Sono solo racconti per bambini, o
esiste davvero il leggendario tesoro dei pirati? Perduto tra i nascondigli sotterranei del lago si cela un mistero che nessuno e’ mai riuscito a svelare.
Nella loro prima avventura, Simon, Emy e Sammy partono alla ricerca di un sogno che li farà diventare i “Treasure Hunters”.
Tra cunicoli segreti, pericoli e indovinelli rompicapo la caccia ha inizio.
Riusciranno i nostri tre amici a risolvere gli enigmi che li condurranno al tesoro, e a lasciarsi alle spalle i minacciosi inseguitori che a ogni passo cercheranno di ostacolarli?





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MOBI


“Dove vanno a dormire le stelle?”



Era il sole caldo che le accarezzava la faccia. Un sole arido di primavera, immobile là, sopra la collina, incastrato in un cielo privo di nubi. C’era il carro, rivolto dove l’aveva lasciato, e un abete impazzito, che sfidava il vento come se dovesse per sempre essere estate.
   Il canto era lontano, forse dentro la foresta, forse oltre lo steccato. Aspro abbastanza da far ricordare le giornate passate a nuotare giù al al lago.
   Se era uscita di casa, era per dimenticare.
   Se era arrivata sin là, era perchè non aveva nessuna intenzione di ritornare.
   Strappò l’erba con le mani nude. Sentì la terra, umida dall’ultima pioggia, che sprigionava quel suo odore fetido e rassicurante.
   “Ti odio!” Gridò al vento che le passava accanto ignorandola.


   Due settimane prima era stata là, seduta nel suo caldo abbraccio. Una tazza calda di cioccolata fumante, e il fuoco nel camino che si rifiutava di riscaldare.
   “Seguimi.” Le aveva detto.
   Non c’era niente al mondo pungente come il freddo di marzo. Era un fantasma sottile, che si infilava sotto la pelle, e nei vestiti, incollandoli addosso come tenaglie di ghiaccio. Si faceva strada nella notte, sotto le coperte, e spaccava la pelle quando ti lavavi le mani. Era un freddo che arrivava dal profondo del creato, insensibile, squallido, mai disposto a farsi da parte.
   Circondava la casa, la possedeva, ne riempiva l’aria e si condensava sugli abiti. Il respiro della notte, il suo alito, che si rifiutava di farsi addomesticare.
   Lei si era stretta nel suo manto, l’aveva seguito, e aveva atteso oltre la porta di casa.
   Là, dove la foresta inziava ad arrampicarsi contro la collina, c’era un sentiero tagliato tra gli alberi, che durante le notti di agosto gli uomini del villaggio segnavano con torce o lampade a gas.
   Girava tutto intorno alla foresta, e poco più in là fiancheggiava il torrente, quello che poi si nascondeva dentro la montagna.
   Lui l’aveva presa per mano e l’aveva guidata . L’aria era irrespirabile. Aghi di ghiaccio si conficcavano sotto gli occhi, sulle labbra, tra le pieghe delle mani.
   “Vieni.” Le aveva detto ancora.
   Nel buio era come se ogni albero nascondesse un fantasma.
   Un gemito, in lontananza.
   “Cos’è?” Aveva detto lei.
   “Vieni.” Aveva risposto lui.
   Dietro la piega della collina, un altro sentiero, piccolo abbastanza per passare inosservato, si incuneava tra i cespugli e le foglie degli alberi, sparendo nella notte più avanti.


   “Ho paura.” Aveva detto.
   L’oscurità era tagliata solo dal silenzio che la circondava.
   Lui si era fermato.
   C’era un piccolo spiazzo più là, una cicatrice nella foresta, dove gli alberi parevano non volersi più radicare. Per terra, appena visibile sotto la luce della luna, una pietra pareva sdraiata ad aspettare, come un altare.
   Si erano avvicinati.
   Lui le aveva lasciato la mano, e si era chinato. Con due dita aveva sfiorato la pietra, e il vento era sembrato cessare, ma solo per un attimo.
   “Dove vanno a dormire le stelle?”
   Lei lo aveva guardato. “Io…”
   “C’era una volta, in un regno lontano una principessa, che viveva in un castello dorato, circondato da servitori e ricchezze, ma che non poteva mai lasciare il suo palazzo. Di giorno passeggiava da sola tra i giardini e le fontane, la notte sognava sdraiata sul letto di cristallo il giorno in cui qualcuno sarebbe arrivato a portarla lontano.”
   “Perchè?”
   “Perchè aveva tutto, ma pensava che ci fosse ancora qualcosa che le mancava.”
   “Non aveva qualche amico?”
   “Ne aveva uno speciale. Ma a lei questo non importava.”
   “Perchè?”
   Lui non aveva risposto. Aveva raccolto una manciata di terra e l’aveva lasciata scorrere tra le dita.
   “Il tempo passava, ma niente sembrava cambiare. Nell’oscurità della notte, anche le stelle parevano ignorarla. Era là, capisci? da sola, e pensava che forse ciò che le mancava era quel qualcosa che doveva sempre e comunque arrivare.
   “E intanto gli anni passavano, e il tempo pareva cancellare ogni traccia delle sue speranze…”
   “Ma un giorno venne il principe azzurro, e la portò lontano…”
   Lui l’aveva osservata nell’oscurità.
   “No,” aveva detto. “La principessa si ammalò e morì, perchè nessuno poteva aiutarla.”
   “E’ una storia trsite.”
   “E’ quello che accade.”
   “Perchè? La principessa voleva solo la sua libertà…”
   “La principessa aveva tutto quello che desiderava. Lo aveva là davanti a sè, ma questo non le sarebbe mai bastato.”
   Lei lo aveva fissato.
   “Perchè non poteva lasciare il palazzo?”
   Lui si era chinato, e le aveva sfiorato una mano.
   “Perchè aveva paura.”
   “Di cosa?”
   “Di perdere tutto quanto.”
   “Ma, non ha senso.”
   Lui non aveva risposto. Si era alzato, invece, e aveva respirato quell’aria gelida, che era l’ultimo scorcio d’inverno, ma che non avrebbe mai ceduto all’estate senza prima combattere.
   “Che ne è stato del suo amico speciale?”
   Lui si era voltato a guardarla.
   “Non lo so. E’ morto anche lui, credo.”
   Lei non aveva parlato.
   Da lontano, la luna era sorta, e le stelle nel cielo lentamente si erano cancellate. Il vento, stanco per il suo lungo viaggio, con un ultimo sforzo aveva trascinato le ultime nubi da oriente, poi era calato del tutto, esausto, nel silenzio che egli stesso aveva creato.
   “Te ne andrai?” Aveva detto lei.
   “Non sono io quello che stai cercando.”
   “Ma…”
   Lui aveva sorriso. “Hai tutto davanti a te, e continui ancora a cercare.”
   “Prima o poi…”
   “No. Le stelle semplicemente scompaiono.”
   “Che vuol dire?”
   “Che quando è qualcos’altro che ci distrae, tutto il resto, per quanto bello alla fine scompare. Guarda..”
   La sua mano aveva indicato il cielo, sopra di loro.
   “La luna? Le nubi?”
   “No. Le stelle.”
   “Io…”
   “Le stelle. Sono scomparse.”


   Stava là adesso. Il suo sguardo perso nel cielo, il suo cuore tarato sul respiro degli alberi.
   Whooo! WHOOO!
   Le foglie che nel vento dettavano il ritmo della sua giornata.
   Non sapeva chi era, in fondo, non sapeva cosa stava aspettando. Era sola in un mondo dove il freddo era passato, ma dove l’inverno sarebbe tornato immutabile anche il prossimo anno, senza che nessun passo avanti sarebbe stato fatto.
   Non poteva sapere se la sua vita sarebbe cambiata. Sola, nell’odore dell’erba appena strappata, c’era solo la certezza di ciò che aveva lasciato andare.
   Si strinse forte a sè, sentendo freddo, anche se il sole impassibile continuava a infilzare il mondo con i suoi raggi.
   Là dietro, nel cielo, nascoste da qualche parte, c’erano ancora le stelle che non smettevano mai di brillare.
   Un pensiero lontano.
   Forse non le avrebbe riviste. 
   Forse avrebbe aspettato la notte, per ritrovarle.

Cose che accadono

1
Jonathan Carter


Quando quella mattina Jonathan uscì di casa stava pensando a quale fosse la possibilità che si potesse essere colpiti da un meteorite mentre si passeggiava per strada. Deve essere almeno di uno su un milione, pensava, no, di più, almeno uno su un miliardo!
Del resto fare calcoli era il suo lavoro, lo faceva dalla mattina alla sera e da ogni cosa cercava di tirare fuori una probabilità, una possibilità, o semplicemente un numero da moltiplicare.
Il suo lavoro inoltre era fare soldi, e Jonathan di soldi ne aveva davvero un sacco. Certo, il comitato cittadino aveva protestato quando quella sua nuova fabbrica era stata impiantata sul litorale, e così vicino a una scuola elementare poi, dove i bambini uscivano alle undici precise per fare merenda nel grande cortile che stava giusto là davanti.
Ma erano stupidi dettagli, di cittadini invidiosi che dovevano trovare un modo per dar fastidio a chi si dava veramente da fare per quella città.
Oh, certo, lui non era incline alle facili lacrime, come per quel ragazzino smorfioso che aveva fatto il giro di tutti i telegiornali, ma di certo se la sua fabbrica era tossica per qualcuno non era certo per le sue tasche, che di denaro ne continuavano a ricevere sempre a palate.
I ragazzini erano solo dettagli, e che crepassero se questo avrebbe contribuito a moltiplicare il suo conto in banca.
“Bella giornata.” Si disse, e sollevò gli occhi verso il cielo, come per assicurarsi che non stesse arrivando davvero qualcosa a colpirlo dall’alto.
Eh, eh! Che dico, almeno una su dieci miliardi!




2
Steven McLoud

Tutti i salmi finiscono in gloria. Era questo che gli ripeteva da circa trent’anni sua moglie, una donna grassa e antipatica che aveva la sola mania di rendere Steve un povero disgraziato. Solo che Steve non ci stava e per una volta sola, per quanto cara potesse costargli, aveva deciso di fare quello che desiderava e mandare al diavolo tutte quelle chiacchiere da pensionati.
Ed era proprio durante il suo primo giorno di pensione che Steve si decise a fare il grande passo. Niente che non avessero già trasmesso in televisione, anche se aveva sessant’anni suonati, ma un bel salto dal paracadute, per festeggiare la sua nuova libertà, era assolutamente un evento da ricordare.
Già vedeva la faccia della moglie allibita, quando sarebbe arrivato a casa, dopo pranzo, mentre lei si commuoveva sino alle lacrime con quelle stupidaggini che davano in TV prima del telegiornale, e le sbandierava sotto il naso la foto del suo lancio, il diploma del suo lancio, e la lettera del suo avvocato con la quale la invitava – cordialmente – a prendere le valigie e ad andarsene.
E sì, detta così non poteva che essere una giornata interessante.
Peccato solo per quell’idiota che quella mattina, con la sua macchina lo aveva tamponato, e gli aveva fatto fare tardi, costringendolo a presentarsi solo per il secondo turno di volo, perché i primi lanci della mattinata erano già stati fatti.




3
Danny Spaziale

Brutta giornata. Davvero da dimenticare. A pensarci bene bisognava farsene una ragione, ma non poteva certo ignorare quell’immagine grande come una mezza palla da biliardo, che continuava a riflettersi sullo schermo fluorescente della risonanza magnetica, davanti ai suoi occhi, come se lo stesse canzonando.
Ma era possibile! E a un ragazzino di dieci anni. Lui a quell’età saliva sugli alberi a spiare Jenny la svitata, nella casa accanto, o a saltare da un altalena in corsa per poi atterrare sull’erba cinque metri più avanti, con le ginocchia sbucciate e i pantaloni della domenica sporchi di fango.
Brutta, brutta giornata. Cominciata già male, prima ancora di arrivare in ospedale.
Stando alla sua ragazza bisognava prenderla con filosofia. Filosofia orientale. Era una bella pensata, solo che non sarebbe stata lei a dover telefonare al padre del ragazzo e spiegargli che per qualche strana ragione potevano dimenticarsi la gita di quell’estate alle cascate, o sulla costa, o dove accidenti sarebbero andati, o la festa del suo undicesimo compleanno, per il semplice motivo che non ci sarebbe mai stata.
Maledizione! Davvero una pessima giornata.




4
Guillome De Blanche

Tirò su la cloche e diede appena un’occhiata all’altimetro, consapevole del fatto che aveva ben altro nella testa a cui pensare.
Guillome era furioso con il mondo e aveva anche un’ottima ragione per esserlo.
In quel momento avrebbe desiderato trovarsi da qualsiasi altra parte fuorché in quella cabina di pilotaggio, con tutti quegli idioti là dietro a chiacchierare come se si trattasse di una dannatissima gita scolastica. Corresse con i pedali la posizione del timone, assicurandosi che il virosbandometro gli desse ragione, poi si infilò in una nuvola e attese che il cielo sopra di lui si rischiarasse.
Se fosse stato possibile farlo anche con la sua dannatissima esistenza si sarebbe già avventurato in una deliziosa cabrata oltre le nubi del fato che lo circondavano. Filosofia: bla, bla, bla, il sereno che splende nonostante i nostri mali, prendete un lungo respiro e cercate di rilassarvi. Che schifo di chiacchiere da vecchie comari.
Guillome corresse l’angolo di salita sull’orizzonte artificiale, livellando l’aereo alla perfezione, senza nemmeno una vibrazione o una perdita di velocità. Almeno quello lo sapeva ancora fare.
Sentendo che c’era qualcosa di sbagliato – oltre a quello che gli avevano appena comunicato poco prima di decollare –, si avvicinò alla zona di lancio con la testa persa in mille altri pensieri, e disprezzando l’intero creato vomitò un ruggito che doveva essere il segnale per quelli che stavano nella cabina accanto.
Ecco fatto! Chissà perché in quello stesso istante gli sembrava che qualcosa era stata dimenticata.




5
Il volo

Ora, che le coincidenze esistono è un dato di fatto, e molte volte delle situazioni semplicemente accadono perché è così che le cose devono andare. Destino, direbbe qualcuno, ma andatelo a spiegare all’inconsapevole Jonathan Carter.
Quando Steven McLoud si affacciò dall’abitacolo del piccolo aereo che stava sorvolando la città di certo non poteva sapere che nel suo paracadute c’era qualcosa che non andava. Non se ne sarebbe accorto, dopotutto, perché dopo essersi scontrato quella mattina con il giovane Daniel Spaziale, non solo aveva perso il primo turno di volo, ma era arrivato anche all’ultimo minuto per decollare con quello successivo. Il che voleva dire che il paracadute lo aveva controllato Guillome per lui, o almeno lo avrebbe dovuto fare.
Questo era quanto gli avevano spiegato al piccolo corso di paracadutismo che aveva seguito durante il mese precedente, all’insaputa della moglie, che era convinta che lui stesse in ufficio qualche ora in più per fare dello straordinario.
Sua moglie avrebbe potuto notare che la cosa era strana, a poche settimane dalla pensione, ma evidentemente era troppo impegnata a seguire l’andamento delle azioni (la trasmissione la davano proprio la sera, giusto prima del telegiornale) di quella fabbrica, quella sul litorale. Insomma, quelle che aveva acquistato a insaputa di Steve, seguendo il consiglio di un’amica e investendo là ogni loro risparmio.
Il problema tuttavia era un altro. Quando Danny Spaziale aveva chiamato Guillome, venti minuti prima, per dargli la pessima notizia, e spiegargli che il suo nipotino aveva un tumore inoperabile che gli avrebbe mangiato il cervello in meno di un anno, il pilota aveva smesso di ragionare.
Non poteva non decollare, nonostante tutto, perché quelli avevano già sborsato, e dal canto suo Guillome ancora aveva le rate dell’aeroplano da pagare. Non poteva rimanere a terra, dunque, ma di certo poteva dimenticarsi che il paracadute numero 5 non poteva essere usato perché si era lacerato durante l’ultimo atterraggio, e che quindi non avrebbe dovuto trovarsi sulle spalle di Steve McLoud quando egli si era lanciato.
Questo tuttavia contava poco, perché Jonathan non si rese neppure conto, nemmeno troppo tempo più tardi, che Steve gli era precipitato addosso, da oltre quattro chilometri e a piena velocità – come un meteorite – schiacciandolo di colpo, ammazzandolo come una formica con le ali sotto il piede di un bimbo un po’ sadico.
Contro ogni probabilità.
Ma la cosa buffa era che il ragazzino, il nipotino di Guillome, quello a cui Danny aveva diagnosticato il cancro, frequentava giusto la scuola elementare che stava davanti alla fabbrica di Carter. Contro ogni probabilità, appunto, anche se era assai improbabile che fosse proprio questo quello a cui stava pensando Jonathan Carter, quella mattina, quando era uscito di casa.