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mercoledì 25 luglio 2012
sabato 30 giugno 2012
All the Way Down
“And it grew both day and night,
Till it bore an apple bright.”
William Blake
What the hell I’m
doing, he thought, as the engine slowed down to a quieter pace. A crammed
silence filled his ears. His breath froze, an icy vapor of fear and pleasure
filled his air. Instructor Doug opened the door. Panic! That’s what it is,
then. He close his eyes, the wind whirling frantic at his face. The plane
glided softly .
He checked his
equipment twice. No matter what, he was not going to die on a day like today.
Why not? Said a voice on
the bottom of his head. The freaking thought of being buried on the same day he
met again his best friend Michael. Course instructor. Did you ever imagine?
“You’re not going
to let me go, mate?” He said.
Mike smiled. “Did
I ever try?”
He beamed.
“Mike!”
“Yes?”
“You’re really
know how to do that?”
“I’m the best.”
“You joking? You
couldn’t tie the lace of your knickers when you’re eleven!”
“Check-in.
Check-out.” Instructor Doug said.
“But…”
“Stop it, kid!
I’ve done it like thousand time!” Mike said. Then grabbed his leg and jumped
away.
What the…!
One thousand, Two
thousand, Three thousand, Four thousand. Arch.
He rose his eyes,
a whisky sky surrounding his sight. A frosty wind on his face. Mike on his
right. Doug on his left.
He would never
get used to that. Never ever again! The world whirling around him, earth and
sky as a your sweated gym suite in a thumbing dryer.
Both instructors
grabbing his flanks. As a kid on his bike on the first summer’s day.
Mike had fixed
his backpack and had stripped off the seal. He had patted his shoulder and had
smiled promptly.
“Ready, mate?”
“Yep.”
“Small briefing.”
“Ok.”
“What if the
pilot call ‘Brace! Brace!’?”
“Safety position,
ready to leave the plane.”
“What if you
deploy and there’s only the blue sky up there?”
“Malfunction. I
release the primary and go for the back-up.”
“How will you do
that?” Mike had said.
He had smiled. “I
won’t. No malfunction, please, today.”
Mike had smiled
back. “Ok. Let’s check the basic, now…”
“Mike…”
“Yes?”
He had turned his
eyes away. “Remember when… well, you know. That’s stupid affair when we were
kids… I mean, that’s childish thing with your old girlfriend…”
“It’s all water
under the bridge, mate!” Mike had laughed,slapping his arm.
“Yep.” He had
smiled. “How old were we? Eleven? Twelve?”
“Twelve.”
“Yep, twelve. We
didn’t even know what to do with a girl, uh?”
“Yep!” Mike had
said.
“Well.” He had
replayed. “You told me… Stupid as we were… you told me: ‘I gonna kill you soon
or later…’”
Both had
chuckled. “How stupid and infantile we were, weren’t we?”
“Yep.”
“Fighting so hard
for such a worthless girl.”
“Yep!”
They had laughed
again, unaffectedly, as it was just yesterday the last time they met.
“Fancy that!” He
had said. “I completely removed her from my mind until today. Don’t even
remember her name!”
“Kate.” Mike had
said.
“Oh… well,” He
had paused. “Yes. Kate… well… Mike?”
“Yes?”
“You’re not about
to tamper my parachute today, won’t you?”
Mike had laughed.
“What stupid of you? You never changed!”
He had laughed
back. “You too, mate!”
“Well, go back to
the briefing. What if…”
“Mike…” He had
said. Suddenly, looking in Mike’s eyes. Straight.
“Yes?”
“What it feels
like? I mean. For real. Not just this fake simulation.”
Mike had looked
at him in his poker-face.
“At 12,000 feet
you don’t want to look down.” Mike had said. “You ask yourself: ‘what the hell
I’m doing’. And that’s the only thing that make sense. The whole universe it’s
upside-down. North and South, Sky and earth. You swear on your head: it’s the
last time. And try to make it clear: it it’s final. Period!
“At 10,000 you
start to relax, feel the air on your face, look the sky melting with the earth.
An horizon so curved you may think someone up there has shaped the world as a
boiled egg. Which is what you’re going to be, in fact, if the canopy won’t
open.
“Which is
something that cross your head at 8,000.
“At 6,000 you
start to consider the idea to deploy. Great idea. But what if it doesn’t?
“Well it’s 5,000
going to 4,000. You know you can’t think about it. Grab your handle, pull,
arch, relax, enjoy the sight from above.”
Maybe.
Or maybe not.
He looked the
altimeter. 3,000. Malfunction. Look, locate, pull-down, deploy. Nothing.
He turned his
head, started to scramble, his limbs whisking the air. Trying to cream the
clouds, honey?
What the… twothousands!
Less, nineteenhundreds!
Jeezzz…
The ground
closing up.
“Mike!” He
shouted. “Mike!”
He looked above.
“Mike!” An orange
canopy floating in the air. Safe and sound!
Where’s mine! He
claimed.
Altimeter. Check!
Uselessly. ONETHOUSAND!
Less.
Going down.
Fast.
Hopeless.
Bang!
Period.
mercoledì 27 giugno 2012
La prima avventura dei Treasure Hunters si può scaricare gratuitamente da qui.
UN SEGRETO NEL LAGO
Dove porta il passaggio segreto che Simon ha scoperto nella vecchia rimessa delle barche? Chi e’ la nuova ragazzina arrivata da poco nella casa abbandonata? Sono solo racconti per bambini, o
esiste davvero il leggendario tesoro dei pirati? Perduto tra i nascondigli sotterranei del lago si cela un mistero che nessuno e’ mai riuscito a svelare.
Nella loro prima avventura, Simon, Emy e Sammy partono alla ricerca di un sogno che li farà diventare i “Treasure Hunters”.
Tra cunicoli segreti, pericoli e indovinelli rompicapo la caccia ha inizio.
Riusciranno i nostri tre amici a risolvere gli enigmi che li condurranno al tesoro, e a lasciarsi alle spalle i minacciosi inseguitori che a ogni passo cercheranno di ostacolarli?
altri formati
ePub
MOBI
UN SEGRETO NEL LAGO
Dove porta il passaggio segreto che Simon ha scoperto nella vecchia rimessa delle barche? Chi e’ la nuova ragazzina arrivata da poco nella casa abbandonata? Sono solo racconti per bambini, o
esiste davvero il leggendario tesoro dei pirati? Perduto tra i nascondigli sotterranei del lago si cela un mistero che nessuno e’ mai riuscito a svelare.
Nella loro prima avventura, Simon, Emy e Sammy partono alla ricerca di un sogno che li farà diventare i “Treasure Hunters”.
Tra cunicoli segreti, pericoli e indovinelli rompicapo la caccia ha inizio.
Riusciranno i nostri tre amici a risolvere gli enigmi che li condurranno al tesoro, e a lasciarsi alle spalle i minacciosi inseguitori che a ogni passo cercheranno di ostacolarli?
altri formati
ePub
MOBI
“Dove vanno a dormire le stelle?”
Era il sole caldo che le accarezzava la faccia. Un sole arido di primavera, immobile là, sopra la collina, incastrato in un cielo privo di nubi. C’era il carro, rivolto dove l’aveva lasciato, e un abete impazzito, che sfidava il vento come se dovesse per sempre essere estate.
Il canto era lontano, forse dentro la foresta, forse oltre lo steccato. Aspro abbastanza da far ricordare le giornate passate a nuotare giù al al lago.
Se era uscita di casa, era per dimenticare.
Se era arrivata sin là, era perchè non aveva nessuna intenzione di ritornare.
Strappò l’erba con le mani nude. Sentì la terra, umida dall’ultima pioggia, che sprigionava quel suo odore fetido e rassicurante.
“Ti odio!” Gridò al vento che le passava accanto ignorandola.
Due settimane prima era stata là, seduta nel suo caldo abbraccio. Una tazza calda di cioccolata fumante, e il fuoco nel camino che si rifiutava di riscaldare.
“Seguimi.” Le aveva detto.
Non c’era niente al mondo pungente come il freddo di marzo. Era un fantasma sottile, che si infilava sotto la pelle, e nei vestiti, incollandoli addosso come tenaglie di ghiaccio. Si faceva strada nella notte, sotto le coperte, e spaccava la pelle quando ti lavavi le mani. Era un freddo che arrivava dal profondo del creato, insensibile, squallido, mai disposto a farsi da parte.
Circondava la casa, la possedeva, ne riempiva l’aria e si condensava sugli abiti. Il respiro della notte, il suo alito, che si rifiutava di farsi addomesticare.
Lei si era stretta nel suo manto, l’aveva seguito, e aveva atteso oltre la porta di casa.
Là, dove la foresta inziava ad arrampicarsi contro la collina, c’era un sentiero tagliato tra gli alberi, che durante le notti di agosto gli uomini del villaggio segnavano con torce o lampade a gas.
Girava tutto intorno alla foresta, e poco più in là fiancheggiava il torrente, quello che poi si nascondeva dentro la montagna.
Lui l’aveva presa per mano e l’aveva guidata . L’aria era irrespirabile. Aghi di ghiaccio si conficcavano sotto gli occhi, sulle labbra, tra le pieghe delle mani.
“Vieni.” Le aveva detto ancora.
Nel buio era come se ogni albero nascondesse un fantasma.
Un gemito, in lontananza.
“Cos’è?” Aveva detto lei.
“Vieni.” Aveva risposto lui.
Dietro la piega della collina, un altro sentiero, piccolo abbastanza per passare inosservato, si incuneava tra i cespugli e le foglie degli alberi, sparendo nella notte più avanti.
“Ho paura.” Aveva detto.
L’oscurità era tagliata solo dal silenzio che la circondava.
Lui si era fermato.
C’era un piccolo spiazzo più là, una cicatrice nella foresta, dove gli alberi parevano non volersi più radicare. Per terra, appena visibile sotto la luce della luna, una pietra pareva sdraiata ad aspettare, come un altare.
Si erano avvicinati.
Lui le aveva lasciato la mano, e si era chinato. Con due dita aveva sfiorato la pietra, e il vento era sembrato cessare, ma solo per un attimo.
“Dove vanno a dormire le stelle?”
Lei lo aveva guardato. “Io…”
“C’era una volta, in un regno lontano una principessa, che viveva in un castello dorato, circondato da servitori e ricchezze, ma che non poteva mai lasciare il suo palazzo. Di giorno passeggiava da sola tra i giardini e le fontane, la notte sognava sdraiata sul letto di cristallo il giorno in cui qualcuno sarebbe arrivato a portarla lontano.”
“Perchè?”
“Perchè aveva tutto, ma pensava che ci fosse ancora qualcosa che le mancava.”
“Non aveva qualche amico?”
“Ne aveva uno speciale. Ma a lei questo non importava.”
“Perchè?”
Lui non aveva risposto. Aveva raccolto una manciata di terra e l’aveva lasciata scorrere tra le dita.
“Il tempo passava, ma niente sembrava cambiare. Nell’oscurità della notte, anche le stelle parevano ignorarla. Era là, capisci? da sola, e pensava che forse ciò che le mancava era quel qualcosa che doveva sempre e comunque arrivare.
“E intanto gli anni passavano, e il tempo pareva cancellare ogni traccia delle sue speranze…”
“Ma un giorno venne il principe azzurro, e la portò lontano…”
Lui l’aveva osservata nell’oscurità.
“No,” aveva detto. “La principessa si ammalò e morì, perchè nessuno poteva aiutarla.”
“E’ una storia trsite.”
“E’ quello che accade.”
“Perchè? La principessa voleva solo la sua libertà…”
“La principessa aveva tutto quello che desiderava. Lo aveva là davanti a sè, ma questo non le sarebbe mai bastato.”
Lei lo aveva fissato.
“Perchè non poteva lasciare il palazzo?”
Lui si era chinato, e le aveva sfiorato una mano.
“Perchè aveva paura.”
“Di cosa?”
“Di perdere tutto quanto.”
“Ma, non ha senso.”
Lui non aveva risposto. Si era alzato, invece, e aveva respirato quell’aria gelida, che era l’ultimo scorcio d’inverno, ma che non avrebbe mai ceduto all’estate senza prima combattere.
“Che ne è stato del suo amico speciale?”
Lui si era voltato a guardarla.
“Non lo so. E’ morto anche lui, credo.”
Lei non aveva parlato.
Da lontano, la luna era sorta, e le stelle nel cielo lentamente si erano cancellate. Il vento, stanco per il suo lungo viaggio, con un ultimo sforzo aveva trascinato le ultime nubi da oriente, poi era calato del tutto, esausto, nel silenzio che egli stesso aveva creato.
“Te ne andrai?” Aveva detto lei.
“Non sono io quello che stai cercando.”
“Ma…”
Lui aveva sorriso. “Hai tutto davanti a te, e continui ancora a cercare.”
“Prima o poi…”
“No. Le stelle semplicemente scompaiono.”
“Che vuol dire?”
“Che quando è qualcos’altro che ci distrae, tutto il resto, per quanto bello alla fine scompare. Guarda..”
La sua mano aveva indicato il cielo, sopra di loro.
“La luna? Le nubi?”
“No. Le stelle.”
“Io…”
“Le stelle. Sono scomparse.”
Stava là adesso. Il suo sguardo perso nel cielo, il suo cuore tarato sul respiro degli alberi.
Whooo! WHOOO!
Le foglie che nel vento dettavano il ritmo della sua giornata.
Non sapeva chi era, in fondo, non sapeva cosa stava aspettando. Era sola in un mondo dove il freddo era passato, ma dove l’inverno sarebbe tornato immutabile anche il prossimo anno, senza che nessun passo avanti sarebbe stato fatto.
Non poteva sapere se la sua vita sarebbe cambiata. Sola, nell’odore dell’erba appena strappata, c’era solo la certezza di ciò che aveva lasciato andare.
Si strinse forte a sè, sentendo freddo, anche se il sole impassibile continuava a infilzare il mondo con i suoi raggi.
Là dietro, nel cielo, nascoste da qualche parte, c’erano ancora le stelle che non smettevano mai di brillare.
Un pensiero lontano.
Forse non le avrebbe riviste.
Forse avrebbe aspettato la notte, per ritrovarle.
Cose che accadono
1
Jonathan Carter
Quando quella mattina Jonathan
uscì di casa stava pensando a quale fosse la possibilità che si potesse essere
colpiti da un meteorite mentre si passeggiava per strada. Deve essere almeno
di uno su un milione, pensava, no, di più, almeno uno su un miliardo!
Del resto fare calcoli
era il suo lavoro, lo faceva dalla mattina alla sera e da ogni cosa cercava di
tirare fuori una probabilità, una possibilità, o semplicemente un numero da
moltiplicare.
Il suo lavoro
inoltre era fare soldi, e Jonathan di soldi ne aveva davvero un sacco. Certo,
il comitato cittadino aveva protestato quando quella sua nuova fabbrica era
stata impiantata sul litorale, e così vicino a una scuola elementare poi, dove
i bambini uscivano alle undici precise per fare merenda nel grande cortile che
stava giusto là davanti.
Ma erano
stupidi dettagli, di cittadini invidiosi che dovevano trovare un modo per dar
fastidio a chi si dava veramente da fare per quella città.
Oh, certo,
lui non era incline alle facili lacrime, come per quel ragazzino smorfioso che
aveva fatto il giro di tutti i telegiornali, ma di certo se la sua fabbrica era
tossica per qualcuno non era certo per le sue tasche, che di denaro ne
continuavano a ricevere sempre a palate.
I ragazzini erano
solo dettagli, e che crepassero se questo avrebbe contribuito a moltiplicare il
suo conto in banca.
“Bella
giornata.” Si disse, e sollevò gli occhi verso il cielo, come per assicurarsi
che non stesse arrivando davvero qualcosa a colpirlo dall’alto.
Eh, eh!
Che dico, almeno una su dieci miliardi!
2
Steven McLoud
Tutti i salmi finiscono in
gloria. Era questo che gli ripeteva da circa trent’anni sua moglie, una donna
grassa e antipatica che aveva la sola mania di rendere Steve un povero
disgraziato. Solo che Steve non ci stava e per una volta sola, per quanto cara
potesse costargli, aveva deciso di fare quello che desiderava e mandare al
diavolo tutte quelle chiacchiere da pensionati.
Ed era
proprio durante il suo primo giorno di pensione che Steve si decise a fare il
grande passo. Niente che non avessero già trasmesso in televisione, anche se
aveva sessant’anni suonati, ma un bel salto dal paracadute, per festeggiare la
sua nuova libertà, era assolutamente un evento da ricordare.
Già vedeva la
faccia della moglie allibita, quando sarebbe arrivato a casa, dopo pranzo,
mentre lei si commuoveva sino alle lacrime con quelle stupidaggini che davano
in TV prima del telegiornale, e le sbandierava sotto il naso la foto del suo
lancio, il diploma del suo lancio, e la lettera del suo avvocato con la quale
la invitava – cordialmente – a prendere le valigie e ad andarsene.
E sì, detta
così non poteva che essere una giornata interessante.
Peccato solo
per quell’idiota che quella mattina, con la sua macchina lo aveva tamponato, e
gli aveva fatto fare tardi, costringendolo a presentarsi solo per il secondo
turno di volo, perché i primi lanci della mattinata erano già stati fatti.
3
Danny Spaziale
Brutta giornata. Davvero da
dimenticare. A pensarci bene bisognava farsene una ragione, ma non poteva certo
ignorare quell’immagine grande come una mezza palla da biliardo, che continuava
a riflettersi sullo schermo fluorescente della risonanza magnetica, davanti ai
suoi occhi, come se lo stesse canzonando.
Ma era
possibile! E a un ragazzino di dieci anni. Lui a quell’età saliva sugli alberi
a spiare Jenny la svitata, nella casa accanto, o a saltare da un altalena in
corsa per poi atterrare sull’erba cinque metri più avanti, con le ginocchia
sbucciate e i pantaloni della domenica sporchi di fango.
Brutta,
brutta giornata. Cominciata già male, prima ancora di arrivare in ospedale.
Stando alla
sua ragazza bisognava prenderla con filosofia. Filosofia orientale. Era una
bella pensata, solo che non sarebbe stata lei a dover telefonare al padre del
ragazzo e spiegargli che per qualche strana ragione potevano dimenticarsi la
gita di quell’estate alle cascate, o sulla costa, o dove accidenti sarebbero
andati, o la festa del suo undicesimo compleanno, per il semplice motivo che
non ci sarebbe mai stata.
Maledizione!
Davvero una pessima giornata.
4
Guillome De
Blanche
Tirò su la cloche e diede appena
un’occhiata all’altimetro, consapevole del fatto che aveva ben altro nella
testa a cui pensare.
Guillome era
furioso con il mondo e aveva anche un’ottima ragione per esserlo.
In quel
momento avrebbe desiderato trovarsi da qualsiasi altra parte fuorché in quella
cabina di pilotaggio, con tutti quegli idioti là dietro a chiacchierare come se
si trattasse di una dannatissima gita scolastica. Corresse con i pedali la
posizione del timone, assicurandosi che il virosbandometro gli desse ragione,
poi si infilò in una nuvola e attese che il cielo sopra di lui si rischiarasse.
Se fosse
stato possibile farlo anche con la sua dannatissima esistenza si sarebbe già
avventurato in una deliziosa cabrata oltre le nubi del fato che lo
circondavano. Filosofia: bla, bla, bla, il sereno che splende nonostante i
nostri mali, prendete un lungo respiro e cercate di rilassarvi. Che schifo di
chiacchiere da vecchie comari.
Guillome
corresse l’angolo di salita sull’orizzonte artificiale, livellando l’aereo alla
perfezione, senza nemmeno una vibrazione o una perdita di velocità. Almeno
quello lo sapeva ancora fare.
Sentendo che
c’era qualcosa di sbagliato – oltre a quello che gli avevano appena comunicato
poco prima di decollare –, si avvicinò alla zona di lancio con la testa persa
in mille altri pensieri, e disprezzando l’intero creato vomitò un ruggito che
doveva essere il segnale per quelli che stavano nella cabina accanto.
Ecco fatto!
Chissà perché in quello stesso istante gli sembrava che qualcosa era stata
dimenticata.
5
Il volo
Ora, che le coincidenze esistono
è un dato di fatto, e molte volte delle situazioni semplicemente accadono
perché è così che le cose devono andare. Destino, direbbe qualcuno, ma andatelo
a spiegare all’inconsapevole Jonathan Carter.
Quando Steven
McLoud si affacciò dall’abitacolo del piccolo aereo che stava sorvolando la
città di certo non poteva sapere che nel suo paracadute c’era qualcosa che non
andava. Non se ne sarebbe accorto, dopotutto, perché dopo essersi scontrato
quella mattina con il giovane Daniel Spaziale, non solo aveva perso il primo
turno di volo, ma era arrivato anche all’ultimo minuto per decollare con quello
successivo. Il che voleva dire che il paracadute lo aveva controllato Guillome
per lui, o almeno lo avrebbe dovuto fare.
Questo era
quanto gli avevano spiegato al piccolo corso di paracadutismo che aveva seguito
durante il mese precedente, all’insaputa della moglie, che era convinta che lui
stesse in ufficio qualche ora in più per fare dello straordinario.
Sua moglie
avrebbe potuto notare che la cosa era strana, a poche settimane dalla pensione,
ma evidentemente era troppo impegnata a seguire l’andamento delle azioni (la
trasmissione la davano proprio la sera, giusto prima del telegiornale) di
quella fabbrica, quella sul litorale. Insomma, quelle che aveva acquistato a
insaputa di Steve, seguendo il consiglio di un’amica e investendo là ogni loro
risparmio.
Il problema
tuttavia era un altro. Quando Danny Spaziale aveva chiamato Guillome, venti
minuti prima, per dargli la pessima notizia, e spiegargli che il suo nipotino
aveva un tumore inoperabile che gli avrebbe mangiato il cervello in meno di un
anno, il pilota aveva smesso di ragionare.
Non poteva
non decollare, nonostante tutto, perché quelli avevano già sborsato, e dal
canto suo Guillome ancora aveva le rate dell’aeroplano da pagare. Non poteva
rimanere a terra, dunque, ma di certo poteva dimenticarsi che il paracadute
numero 5 non poteva essere usato perché si era lacerato durante l’ultimo
atterraggio, e che quindi non avrebbe dovuto trovarsi sulle spalle di Steve
McLoud quando egli si era lanciato.
Questo
tuttavia contava poco, perché Jonathan non si rese neppure conto, nemmeno
troppo tempo più tardi, che Steve gli era precipitato addosso, da oltre quattro
chilometri e a piena velocità – come un meteorite – schiacciandolo di colpo,
ammazzandolo come una formica con le ali sotto il piede di un bimbo un po’ sadico.
Contro ogni
probabilità.
Ma la cosa
buffa era che il ragazzino, il nipotino di Guillome, quello a cui Danny aveva
diagnosticato il cancro, frequentava giusto la scuola elementare che stava
davanti alla fabbrica di Carter. Contro ogni probabilità, appunto, anche se era
assai improbabile che fosse proprio questo quello a cui stava pensando Jonathan
Carter, quella mattina, quando era uscito di casa.
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