1
Jonathan Carter
Quando quella mattina Jonathan
uscì di casa stava pensando a quale fosse la possibilità che si potesse essere
colpiti da un meteorite mentre si passeggiava per strada. Deve essere almeno
di uno su un milione, pensava, no, di più, almeno uno su un miliardo!
Del resto fare calcoli
era il suo lavoro, lo faceva dalla mattina alla sera e da ogni cosa cercava di
tirare fuori una probabilità, una possibilità, o semplicemente un numero da
moltiplicare.
Il suo lavoro
inoltre era fare soldi, e Jonathan di soldi ne aveva davvero un sacco. Certo,
il comitato cittadino aveva protestato quando quella sua nuova fabbrica era
stata impiantata sul litorale, e così vicino a una scuola elementare poi, dove
i bambini uscivano alle undici precise per fare merenda nel grande cortile che
stava giusto là davanti.
Ma erano
stupidi dettagli, di cittadini invidiosi che dovevano trovare un modo per dar
fastidio a chi si dava veramente da fare per quella città.
Oh, certo,
lui non era incline alle facili lacrime, come per quel ragazzino smorfioso che
aveva fatto il giro di tutti i telegiornali, ma di certo se la sua fabbrica era
tossica per qualcuno non era certo per le sue tasche, che di denaro ne
continuavano a ricevere sempre a palate.
I ragazzini erano
solo dettagli, e che crepassero se questo avrebbe contribuito a moltiplicare il
suo conto in banca.
“Bella
giornata.” Si disse, e sollevò gli occhi verso il cielo, come per assicurarsi
che non stesse arrivando davvero qualcosa a colpirlo dall’alto.
Eh, eh!
Che dico, almeno una su dieci miliardi!
2
Steven McLoud
Tutti i salmi finiscono in
gloria. Era questo che gli ripeteva da circa trent’anni sua moglie, una donna
grassa e antipatica che aveva la sola mania di rendere Steve un povero
disgraziato. Solo che Steve non ci stava e per una volta sola, per quanto cara
potesse costargli, aveva deciso di fare quello che desiderava e mandare al
diavolo tutte quelle chiacchiere da pensionati.
Ed era
proprio durante il suo primo giorno di pensione che Steve si decise a fare il
grande passo. Niente che non avessero già trasmesso in televisione, anche se
aveva sessant’anni suonati, ma un bel salto dal paracadute, per festeggiare la
sua nuova libertà, era assolutamente un evento da ricordare.
Già vedeva la
faccia della moglie allibita, quando sarebbe arrivato a casa, dopo pranzo,
mentre lei si commuoveva sino alle lacrime con quelle stupidaggini che davano
in TV prima del telegiornale, e le sbandierava sotto il naso la foto del suo
lancio, il diploma del suo lancio, e la lettera del suo avvocato con la quale
la invitava – cordialmente – a prendere le valigie e ad andarsene.
E sì, detta
così non poteva che essere una giornata interessante.
Peccato solo
per quell’idiota che quella mattina, con la sua macchina lo aveva tamponato, e
gli aveva fatto fare tardi, costringendolo a presentarsi solo per il secondo
turno di volo, perché i primi lanci della mattinata erano già stati fatti.
3
Danny Spaziale
Brutta giornata. Davvero da
dimenticare. A pensarci bene bisognava farsene una ragione, ma non poteva certo
ignorare quell’immagine grande come una mezza palla da biliardo, che continuava
a riflettersi sullo schermo fluorescente della risonanza magnetica, davanti ai
suoi occhi, come se lo stesse canzonando.
Ma era
possibile! E a un ragazzino di dieci anni. Lui a quell’età saliva sugli alberi
a spiare Jenny la svitata, nella casa accanto, o a saltare da un altalena in
corsa per poi atterrare sull’erba cinque metri più avanti, con le ginocchia
sbucciate e i pantaloni della domenica sporchi di fango.
Brutta,
brutta giornata. Cominciata già male, prima ancora di arrivare in ospedale.
Stando alla
sua ragazza bisognava prenderla con filosofia. Filosofia orientale. Era una
bella pensata, solo che non sarebbe stata lei a dover telefonare al padre del
ragazzo e spiegargli che per qualche strana ragione potevano dimenticarsi la
gita di quell’estate alle cascate, o sulla costa, o dove accidenti sarebbero
andati, o la festa del suo undicesimo compleanno, per il semplice motivo che
non ci sarebbe mai stata.
Maledizione!
Davvero una pessima giornata.
4
Guillome De
Blanche
Tirò su la cloche e diede appena
un’occhiata all’altimetro, consapevole del fatto che aveva ben altro nella
testa a cui pensare.
Guillome era
furioso con il mondo e aveva anche un’ottima ragione per esserlo.
In quel
momento avrebbe desiderato trovarsi da qualsiasi altra parte fuorché in quella
cabina di pilotaggio, con tutti quegli idioti là dietro a chiacchierare come se
si trattasse di una dannatissima gita scolastica. Corresse con i pedali la
posizione del timone, assicurandosi che il virosbandometro gli desse ragione,
poi si infilò in una nuvola e attese che il cielo sopra di lui si rischiarasse.
Se fosse
stato possibile farlo anche con la sua dannatissima esistenza si sarebbe già
avventurato in una deliziosa cabrata oltre le nubi del fato che lo
circondavano. Filosofia: bla, bla, bla, il sereno che splende nonostante i
nostri mali, prendete un lungo respiro e cercate di rilassarvi. Che schifo di
chiacchiere da vecchie comari.
Guillome
corresse l’angolo di salita sull’orizzonte artificiale, livellando l’aereo alla
perfezione, senza nemmeno una vibrazione o una perdita di velocità. Almeno
quello lo sapeva ancora fare.
Sentendo che
c’era qualcosa di sbagliato – oltre a quello che gli avevano appena comunicato
poco prima di decollare –, si avvicinò alla zona di lancio con la testa persa
in mille altri pensieri, e disprezzando l’intero creato vomitò un ruggito che
doveva essere il segnale per quelli che stavano nella cabina accanto.
Ecco fatto!
Chissà perché in quello stesso istante gli sembrava che qualcosa era stata
dimenticata.
5
Il volo
Ora, che le coincidenze esistono
è un dato di fatto, e molte volte delle situazioni semplicemente accadono
perché è così che le cose devono andare. Destino, direbbe qualcuno, ma andatelo
a spiegare all’inconsapevole Jonathan Carter.
Quando Steven
McLoud si affacciò dall’abitacolo del piccolo aereo che stava sorvolando la
città di certo non poteva sapere che nel suo paracadute c’era qualcosa che non
andava. Non se ne sarebbe accorto, dopotutto, perché dopo essersi scontrato
quella mattina con il giovane Daniel Spaziale, non solo aveva perso il primo
turno di volo, ma era arrivato anche all’ultimo minuto per decollare con quello
successivo. Il che voleva dire che il paracadute lo aveva controllato Guillome
per lui, o almeno lo avrebbe dovuto fare.
Questo era
quanto gli avevano spiegato al piccolo corso di paracadutismo che aveva seguito
durante il mese precedente, all’insaputa della moglie, che era convinta che lui
stesse in ufficio qualche ora in più per fare dello straordinario.
Sua moglie
avrebbe potuto notare che la cosa era strana, a poche settimane dalla pensione,
ma evidentemente era troppo impegnata a seguire l’andamento delle azioni (la
trasmissione la davano proprio la sera, giusto prima del telegiornale) di
quella fabbrica, quella sul litorale. Insomma, quelle che aveva acquistato a
insaputa di Steve, seguendo il consiglio di un’amica e investendo là ogni loro
risparmio.
Il problema
tuttavia era un altro. Quando Danny Spaziale aveva chiamato Guillome, venti
minuti prima, per dargli la pessima notizia, e spiegargli che il suo nipotino
aveva un tumore inoperabile che gli avrebbe mangiato il cervello in meno di un
anno, il pilota aveva smesso di ragionare.
Non poteva
non decollare, nonostante tutto, perché quelli avevano già sborsato, e dal
canto suo Guillome ancora aveva le rate dell’aeroplano da pagare. Non poteva
rimanere a terra, dunque, ma di certo poteva dimenticarsi che il paracadute
numero 5 non poteva essere usato perché si era lacerato durante l’ultimo
atterraggio, e che quindi non avrebbe dovuto trovarsi sulle spalle di Steve
McLoud quando egli si era lanciato.
Questo
tuttavia contava poco, perché Jonathan non si rese neppure conto, nemmeno
troppo tempo più tardi, che Steve gli era precipitato addosso, da oltre quattro
chilometri e a piena velocità – come un meteorite – schiacciandolo di colpo,
ammazzandolo come una formica con le ali sotto il piede di un bimbo un po’ sadico.
Contro ogni
probabilità.
Ma la cosa
buffa era che il ragazzino, il nipotino di Guillome, quello a cui Danny aveva
diagnosticato il cancro, frequentava giusto la scuola elementare che stava
davanti alla fabbrica di Carter. Contro ogni probabilità, appunto, anche se era
assai improbabile che fosse proprio questo quello a cui stava pensando Jonathan
Carter, quella mattina, quando era uscito di casa.
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