mercoledì 27 giugno 2012

Cose che accadono

1
Jonathan Carter


Quando quella mattina Jonathan uscì di casa stava pensando a quale fosse la possibilità che si potesse essere colpiti da un meteorite mentre si passeggiava per strada. Deve essere almeno di uno su un milione, pensava, no, di più, almeno uno su un miliardo!
Del resto fare calcoli era il suo lavoro, lo faceva dalla mattina alla sera e da ogni cosa cercava di tirare fuori una probabilità, una possibilità, o semplicemente un numero da moltiplicare.
Il suo lavoro inoltre era fare soldi, e Jonathan di soldi ne aveva davvero un sacco. Certo, il comitato cittadino aveva protestato quando quella sua nuova fabbrica era stata impiantata sul litorale, e così vicino a una scuola elementare poi, dove i bambini uscivano alle undici precise per fare merenda nel grande cortile che stava giusto là davanti.
Ma erano stupidi dettagli, di cittadini invidiosi che dovevano trovare un modo per dar fastidio a chi si dava veramente da fare per quella città.
Oh, certo, lui non era incline alle facili lacrime, come per quel ragazzino smorfioso che aveva fatto il giro di tutti i telegiornali, ma di certo se la sua fabbrica era tossica per qualcuno non era certo per le sue tasche, che di denaro ne continuavano a ricevere sempre a palate.
I ragazzini erano solo dettagli, e che crepassero se questo avrebbe contribuito a moltiplicare il suo conto in banca.
“Bella giornata.” Si disse, e sollevò gli occhi verso il cielo, come per assicurarsi che non stesse arrivando davvero qualcosa a colpirlo dall’alto.
Eh, eh! Che dico, almeno una su dieci miliardi!




2
Steven McLoud

Tutti i salmi finiscono in gloria. Era questo che gli ripeteva da circa trent’anni sua moglie, una donna grassa e antipatica che aveva la sola mania di rendere Steve un povero disgraziato. Solo che Steve non ci stava e per una volta sola, per quanto cara potesse costargli, aveva deciso di fare quello che desiderava e mandare al diavolo tutte quelle chiacchiere da pensionati.
Ed era proprio durante il suo primo giorno di pensione che Steve si decise a fare il grande passo. Niente che non avessero già trasmesso in televisione, anche se aveva sessant’anni suonati, ma un bel salto dal paracadute, per festeggiare la sua nuova libertà, era assolutamente un evento da ricordare.
Già vedeva la faccia della moglie allibita, quando sarebbe arrivato a casa, dopo pranzo, mentre lei si commuoveva sino alle lacrime con quelle stupidaggini che davano in TV prima del telegiornale, e le sbandierava sotto il naso la foto del suo lancio, il diploma del suo lancio, e la lettera del suo avvocato con la quale la invitava – cordialmente – a prendere le valigie e ad andarsene.
E sì, detta così non poteva che essere una giornata interessante.
Peccato solo per quell’idiota che quella mattina, con la sua macchina lo aveva tamponato, e gli aveva fatto fare tardi, costringendolo a presentarsi solo per il secondo turno di volo, perché i primi lanci della mattinata erano già stati fatti.




3
Danny Spaziale

Brutta giornata. Davvero da dimenticare. A pensarci bene bisognava farsene una ragione, ma non poteva certo ignorare quell’immagine grande come una mezza palla da biliardo, che continuava a riflettersi sullo schermo fluorescente della risonanza magnetica, davanti ai suoi occhi, come se lo stesse canzonando.
Ma era possibile! E a un ragazzino di dieci anni. Lui a quell’età saliva sugli alberi a spiare Jenny la svitata, nella casa accanto, o a saltare da un altalena in corsa per poi atterrare sull’erba cinque metri più avanti, con le ginocchia sbucciate e i pantaloni della domenica sporchi di fango.
Brutta, brutta giornata. Cominciata già male, prima ancora di arrivare in ospedale.
Stando alla sua ragazza bisognava prenderla con filosofia. Filosofia orientale. Era una bella pensata, solo che non sarebbe stata lei a dover telefonare al padre del ragazzo e spiegargli che per qualche strana ragione potevano dimenticarsi la gita di quell’estate alle cascate, o sulla costa, o dove accidenti sarebbero andati, o la festa del suo undicesimo compleanno, per il semplice motivo che non ci sarebbe mai stata.
Maledizione! Davvero una pessima giornata.




4
Guillome De Blanche

Tirò su la cloche e diede appena un’occhiata all’altimetro, consapevole del fatto che aveva ben altro nella testa a cui pensare.
Guillome era furioso con il mondo e aveva anche un’ottima ragione per esserlo.
In quel momento avrebbe desiderato trovarsi da qualsiasi altra parte fuorché in quella cabina di pilotaggio, con tutti quegli idioti là dietro a chiacchierare come se si trattasse di una dannatissima gita scolastica. Corresse con i pedali la posizione del timone, assicurandosi che il virosbandometro gli desse ragione, poi si infilò in una nuvola e attese che il cielo sopra di lui si rischiarasse.
Se fosse stato possibile farlo anche con la sua dannatissima esistenza si sarebbe già avventurato in una deliziosa cabrata oltre le nubi del fato che lo circondavano. Filosofia: bla, bla, bla, il sereno che splende nonostante i nostri mali, prendete un lungo respiro e cercate di rilassarvi. Che schifo di chiacchiere da vecchie comari.
Guillome corresse l’angolo di salita sull’orizzonte artificiale, livellando l’aereo alla perfezione, senza nemmeno una vibrazione o una perdita di velocità. Almeno quello lo sapeva ancora fare.
Sentendo che c’era qualcosa di sbagliato – oltre a quello che gli avevano appena comunicato poco prima di decollare –, si avvicinò alla zona di lancio con la testa persa in mille altri pensieri, e disprezzando l’intero creato vomitò un ruggito che doveva essere il segnale per quelli che stavano nella cabina accanto.
Ecco fatto! Chissà perché in quello stesso istante gli sembrava che qualcosa era stata dimenticata.




5
Il volo

Ora, che le coincidenze esistono è un dato di fatto, e molte volte delle situazioni semplicemente accadono perché è così che le cose devono andare. Destino, direbbe qualcuno, ma andatelo a spiegare all’inconsapevole Jonathan Carter.
Quando Steven McLoud si affacciò dall’abitacolo del piccolo aereo che stava sorvolando la città di certo non poteva sapere che nel suo paracadute c’era qualcosa che non andava. Non se ne sarebbe accorto, dopotutto, perché dopo essersi scontrato quella mattina con il giovane Daniel Spaziale, non solo aveva perso il primo turno di volo, ma era arrivato anche all’ultimo minuto per decollare con quello successivo. Il che voleva dire che il paracadute lo aveva controllato Guillome per lui, o almeno lo avrebbe dovuto fare.
Questo era quanto gli avevano spiegato al piccolo corso di paracadutismo che aveva seguito durante il mese precedente, all’insaputa della moglie, che era convinta che lui stesse in ufficio qualche ora in più per fare dello straordinario.
Sua moglie avrebbe potuto notare che la cosa era strana, a poche settimane dalla pensione, ma evidentemente era troppo impegnata a seguire l’andamento delle azioni (la trasmissione la davano proprio la sera, giusto prima del telegiornale) di quella fabbrica, quella sul litorale. Insomma, quelle che aveva acquistato a insaputa di Steve, seguendo il consiglio di un’amica e investendo là ogni loro risparmio.
Il problema tuttavia era un altro. Quando Danny Spaziale aveva chiamato Guillome, venti minuti prima, per dargli la pessima notizia, e spiegargli che il suo nipotino aveva un tumore inoperabile che gli avrebbe mangiato il cervello in meno di un anno, il pilota aveva smesso di ragionare.
Non poteva non decollare, nonostante tutto, perché quelli avevano già sborsato, e dal canto suo Guillome ancora aveva le rate dell’aeroplano da pagare. Non poteva rimanere a terra, dunque, ma di certo poteva dimenticarsi che il paracadute numero 5 non poteva essere usato perché si era lacerato durante l’ultimo atterraggio, e che quindi non avrebbe dovuto trovarsi sulle spalle di Steve McLoud quando egli si era lanciato.
Questo tuttavia contava poco, perché Jonathan non si rese neppure conto, nemmeno troppo tempo più tardi, che Steve gli era precipitato addosso, da oltre quattro chilometri e a piena velocità – come un meteorite – schiacciandolo di colpo, ammazzandolo come una formica con le ali sotto il piede di un bimbo un po’ sadico.
Contro ogni probabilità.
Ma la cosa buffa era che il ragazzino, il nipotino di Guillome, quello a cui Danny aveva diagnosticato il cancro, frequentava giusto la scuola elementare che stava davanti alla fabbrica di Carter. Contro ogni probabilità, appunto, anche se era assai improbabile che fosse proprio questo quello a cui stava pensando Jonathan Carter, quella mattina, quando era uscito di casa.

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