mercoledì 27 giugno 2012

“Dove vanno a dormire le stelle?”



Era il sole caldo che le accarezzava la faccia. Un sole arido di primavera, immobile là, sopra la collina, incastrato in un cielo privo di nubi. C’era il carro, rivolto dove l’aveva lasciato, e un abete impazzito, che sfidava il vento come se dovesse per sempre essere estate.
   Il canto era lontano, forse dentro la foresta, forse oltre lo steccato. Aspro abbastanza da far ricordare le giornate passate a nuotare giù al al lago.
   Se era uscita di casa, era per dimenticare.
   Se era arrivata sin là, era perchè non aveva nessuna intenzione di ritornare.
   Strappò l’erba con le mani nude. Sentì la terra, umida dall’ultima pioggia, che sprigionava quel suo odore fetido e rassicurante.
   “Ti odio!” Gridò al vento che le passava accanto ignorandola.


   Due settimane prima era stata là, seduta nel suo caldo abbraccio. Una tazza calda di cioccolata fumante, e il fuoco nel camino che si rifiutava di riscaldare.
   “Seguimi.” Le aveva detto.
   Non c’era niente al mondo pungente come il freddo di marzo. Era un fantasma sottile, che si infilava sotto la pelle, e nei vestiti, incollandoli addosso come tenaglie di ghiaccio. Si faceva strada nella notte, sotto le coperte, e spaccava la pelle quando ti lavavi le mani. Era un freddo che arrivava dal profondo del creato, insensibile, squallido, mai disposto a farsi da parte.
   Circondava la casa, la possedeva, ne riempiva l’aria e si condensava sugli abiti. Il respiro della notte, il suo alito, che si rifiutava di farsi addomesticare.
   Lei si era stretta nel suo manto, l’aveva seguito, e aveva atteso oltre la porta di casa.
   Là, dove la foresta inziava ad arrampicarsi contro la collina, c’era un sentiero tagliato tra gli alberi, che durante le notti di agosto gli uomini del villaggio segnavano con torce o lampade a gas.
   Girava tutto intorno alla foresta, e poco più in là fiancheggiava il torrente, quello che poi si nascondeva dentro la montagna.
   Lui l’aveva presa per mano e l’aveva guidata . L’aria era irrespirabile. Aghi di ghiaccio si conficcavano sotto gli occhi, sulle labbra, tra le pieghe delle mani.
   “Vieni.” Le aveva detto ancora.
   Nel buio era come se ogni albero nascondesse un fantasma.
   Un gemito, in lontananza.
   “Cos’è?” Aveva detto lei.
   “Vieni.” Aveva risposto lui.
   Dietro la piega della collina, un altro sentiero, piccolo abbastanza per passare inosservato, si incuneava tra i cespugli e le foglie degli alberi, sparendo nella notte più avanti.


   “Ho paura.” Aveva detto.
   L’oscurità era tagliata solo dal silenzio che la circondava.
   Lui si era fermato.
   C’era un piccolo spiazzo più là, una cicatrice nella foresta, dove gli alberi parevano non volersi più radicare. Per terra, appena visibile sotto la luce della luna, una pietra pareva sdraiata ad aspettare, come un altare.
   Si erano avvicinati.
   Lui le aveva lasciato la mano, e si era chinato. Con due dita aveva sfiorato la pietra, e il vento era sembrato cessare, ma solo per un attimo.
   “Dove vanno a dormire le stelle?”
   Lei lo aveva guardato. “Io…”
   “C’era una volta, in un regno lontano una principessa, che viveva in un castello dorato, circondato da servitori e ricchezze, ma che non poteva mai lasciare il suo palazzo. Di giorno passeggiava da sola tra i giardini e le fontane, la notte sognava sdraiata sul letto di cristallo il giorno in cui qualcuno sarebbe arrivato a portarla lontano.”
   “Perchè?”
   “Perchè aveva tutto, ma pensava che ci fosse ancora qualcosa che le mancava.”
   “Non aveva qualche amico?”
   “Ne aveva uno speciale. Ma a lei questo non importava.”
   “Perchè?”
   Lui non aveva risposto. Aveva raccolto una manciata di terra e l’aveva lasciata scorrere tra le dita.
   “Il tempo passava, ma niente sembrava cambiare. Nell’oscurità della notte, anche le stelle parevano ignorarla. Era là, capisci? da sola, e pensava che forse ciò che le mancava era quel qualcosa che doveva sempre e comunque arrivare.
   “E intanto gli anni passavano, e il tempo pareva cancellare ogni traccia delle sue speranze…”
   “Ma un giorno venne il principe azzurro, e la portò lontano…”
   Lui l’aveva osservata nell’oscurità.
   “No,” aveva detto. “La principessa si ammalò e morì, perchè nessuno poteva aiutarla.”
   “E’ una storia trsite.”
   “E’ quello che accade.”
   “Perchè? La principessa voleva solo la sua libertà…”
   “La principessa aveva tutto quello che desiderava. Lo aveva là davanti a sè, ma questo non le sarebbe mai bastato.”
   Lei lo aveva fissato.
   “Perchè non poteva lasciare il palazzo?”
   Lui si era chinato, e le aveva sfiorato una mano.
   “Perchè aveva paura.”
   “Di cosa?”
   “Di perdere tutto quanto.”
   “Ma, non ha senso.”
   Lui non aveva risposto. Si era alzato, invece, e aveva respirato quell’aria gelida, che era l’ultimo scorcio d’inverno, ma che non avrebbe mai ceduto all’estate senza prima combattere.
   “Che ne è stato del suo amico speciale?”
   Lui si era voltato a guardarla.
   “Non lo so. E’ morto anche lui, credo.”
   Lei non aveva parlato.
   Da lontano, la luna era sorta, e le stelle nel cielo lentamente si erano cancellate. Il vento, stanco per il suo lungo viaggio, con un ultimo sforzo aveva trascinato le ultime nubi da oriente, poi era calato del tutto, esausto, nel silenzio che egli stesso aveva creato.
   “Te ne andrai?” Aveva detto lei.
   “Non sono io quello che stai cercando.”
   “Ma…”
   Lui aveva sorriso. “Hai tutto davanti a te, e continui ancora a cercare.”
   “Prima o poi…”
   “No. Le stelle semplicemente scompaiono.”
   “Che vuol dire?”
   “Che quando è qualcos’altro che ci distrae, tutto il resto, per quanto bello alla fine scompare. Guarda..”
   La sua mano aveva indicato il cielo, sopra di loro.
   “La luna? Le nubi?”
   “No. Le stelle.”
   “Io…”
   “Le stelle. Sono scomparse.”


   Stava là adesso. Il suo sguardo perso nel cielo, il suo cuore tarato sul respiro degli alberi.
   Whooo! WHOOO!
   Le foglie che nel vento dettavano il ritmo della sua giornata.
   Non sapeva chi era, in fondo, non sapeva cosa stava aspettando. Era sola in un mondo dove il freddo era passato, ma dove l’inverno sarebbe tornato immutabile anche il prossimo anno, senza che nessun passo avanti sarebbe stato fatto.
   Non poteva sapere se la sua vita sarebbe cambiata. Sola, nell’odore dell’erba appena strappata, c’era solo la certezza di ciò che aveva lasciato andare.
   Si strinse forte a sè, sentendo freddo, anche se il sole impassibile continuava a infilzare il mondo con i suoi raggi.
   Là dietro, nel cielo, nascoste da qualche parte, c’erano ancora le stelle che non smettevano mai di brillare.
   Un pensiero lontano.
   Forse non le avrebbe riviste. 
   Forse avrebbe aspettato la notte, per ritrovarle.

Nessun commento:

Posta un commento